La crisi della Sampdoria c’è ma va risolta, guarita col il lavoro e con il tempo, Intanto parliamo di vecchia e nuova scuola…
Amici sportivi, lettori di ClubDoria46, tifosi blucerchiati: diciamocelo chiaro, ce la aspettavamo diversa. Credo che oggi non uno dei tanti, tantissimi sampdoriani che hanno espresso la loro opinione sul web e altrove (ahinoi, per i soliti maligni disinformati: tanti ne parlano, nessuno si nasconde, ed è comunque un buon segno) abbia trovato motivi di conforto da quanto espresso in campo a Cosenza da tutto lo staff blucerchiato, dall’allenatore – che si scusa, ed è giusto così, ma c’è anche del suo – ai pochi a salvarsi.
Male, quindi. Ma sfido chiunque a non essere rimasto sorpreso dal leggere l’undici iniziale, con due laterali da difesa a quattro, e uno a piede invertito, nella difesa a tre, accanto ad un esordiente assoluto. O un centrocampo assortito in modo astruso.
Seguo professionalmente il calcio (e lo sport in genere) da troppo tempo per meravigliarmi delle stravaganze di chi va in panchina. Sono abituato a pensare che chi vede i giocatori quotidianamente sappia cose che io non so, così come – su altri fronti – chi segue l’amministrazione di una società di calcio abbia conoscenze della materia e competenze che solo qualche idiota obnubilato dal tifo può ritenere essere guidate da presunti “poteri forti”.
Detto questo, mi ritengo della vecchia scuola. E quando vedo giocatori costantemente fuori posizione qualche dubbio mi viene. Perché, a quel punto, i casi sono due: o chi li schiera non capisce un granchè, e mi sento di escluderlo (non esiste al mondo un altro posto come Coverciano); oppure chi viene schierato disattende, per mille motivi (anzitutto per l’avversario), le consegne che gli vengono date.
Dato che due punti dopo cinque partite, al netto del cambio di timoniere, e contro squadre che definire “modeste” è un eufemismo, sono un dato di fatto del quale prendere buona nota, anche qui una riflessione si impone. Ed è sulla rosa. Perché qui adesso prende fiato il partito della sopravvalutazione della campagna acquisti, delle carenze di organico, di questo e di quello.
No, non lo credo. La rosa attuale è ben più attrezzata del puzzle messo su in maniera abbastanza estemporanea un anno fa (ma mi sarebbe piaciuto rivedere Esposito e Ghilardi, i due più cresciuti nel corso della stagione). E soprattutto è molto più profonda. Ha due o tre giocatori per ogni ruolo, e con caratteristiche talmente varie da poter fare tranquillamente due squadre di livello.
Sampdoria, avanti con la difesa a quattro e in mezzo al campo Yepes Laut
Sampdoria, io sono della vecchia scuola e quindi…
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E allora, cosa c’è che non funziona? Credo si tratti di dare modo al nuovo tecnico di capire esattamente com’è composta la sua squadra. Il che non vuol dire solo vederli in settimana, ma metterli alla prova anche contro squadre che ti studiano in settimana, ti vivisezionano al video, cercano il tuo punto debole e lì cercano di colpire. Insomma, non ci sarebbe tempo, ma ne serve.
Intanto, se vogliamo, la fase difensiva è quella che più lascia a desiderare. Quindi: si prenda atto che la difesa a quattro è, per questa squadra (anche per antica tradizione), molto più produttiva, e si schierino due centrali veri, possibilmente un esperto e un giovane, un massiccio e un rapido. Grandoni e Conte, ma ci si può accontentare di Romagnoli e Riccio (il migliore là dietro). O, se si vuole restare a tre, un pacchetto di gente del posto: i due già nominati e Veroli o Vulikic terzo a sinistra. Forse ci si perde in proposizione e in sovrapposizione sulla fascia, ma a me piacerebbe un “tersin che fassa el tersin”.
Centrocampisti che sappiano impostare ne abbiamo? Sì, uno, imprescindibile, anche al Gigi Marulla: entra Yepes-Laut e la squadra inizia a giocare il pallone. Vicino a lui, chiunque, a seconda delle circostanze: Meulensteen, Bellemo se saprà spiegarci come riusciva ad essere trainante nel Como, Kasami se mai capiremo l’ostracismo verso di lui, Benedetti se finalmente risolveremo l’equivoco sulla sua identità, Akinsanmiro se la smetterà di cercare di scartare undici avversari da solo, persino Vieira, o Ricci, o Girelli. E, a correre, Venuti di qua, Ioannou di là. Gli altri pronti al subentro.
E Sekulov (intoccabili Coda e Tutino): è quello dei venti minuti finali col Bari, o quello dei restanti spezzoni di partita senza mordente?
Lascio lì queste riflessioni, alle quali ne aggiungo una che non c’entra ma c’entra eccome. E può essere un motivo di (piccolo) sollievo.
Scrivevo sopra che sono della vecchia scuola. Ho visto lavorare marziani oggi imparagonabili. Diciamo pure che il calcio dei tre punti a vittoria, del VAR, della costruzione dal basso, del “tiki taka”, dei falli da ultimo uomo, dei recuperi da nove minuti, dei procuratori, del “il calcio è funzionale al mercato” sta a quel calcio lì, quello vero, quello che ci ha fatto innamorare di questo sport, esattamente come i commentatori di oggi, i www.tiziocaiosempronio.com, quelli che se la cantano e se la suonano in TV tra di loro (e non sanno niente, spesso neanche l’italiano, distorcono gli episodi e la storia e rilanciano leggende false finchè tanti ci credono… ma non diventano vere) stanno a – ne cito alcuni a caso tra quelli che più ho apprezzato – Italo Cucci, Marco Ansaldo, Roberto Beccantini, Giorgio Tosatti.
Ecco, Giorgio Tosatti: non gli sfuggiva un numero, un dettaglio. Come del resto (ma in modo diverso) a Gianni Brera. Non esistono serie in trasferta (in casa a volte sì, ma non eterne) lunghe quanto quella della Sampdoria a Cosenza. Fino a ieri. Nemmeno a Marassi contro le strisciate. Quelle serie lì hanno un limite fisiologico, quello della “legge dei grandi numeri”. Che non è, come tanti pensano, quella del “prima o poi succede” o del “tanto tuonò che piovve”, ma una legge probabilistica vera, che va studiata. Ero praticamente certo, per tutte le serie storiche della Sampdoria in trasferta in settantotto anni di storia, che avrebbe vinto il Cosenza. Unico appunto: si poteva perdere giocando meglio.
E questo, permettetemi, è anche il motivo per il quale sorrido (di compatimento) alla beata ignoranza di chi mette faccine a caso o sproloquia sui social network, soprattutto parlando di squadre diverse dalla propria.