Sinisa Mihajlovic, a più di un anno dalla malattia, sceglie di raccontarsi per come è adesso: un uomo nuovo, che ha avuto paura e che si gode ogni momento
Ormai più di un anno fa Sinisa Mihajlovic ha vinto la sua battaglia contro la leucemia. L’attuale tecnico del Bologna e bandiera della Sampdoria ha scelto di raccontare la sua esperienza nel libro “La partita della vita”. Un’esperienza che ha scelto di raccontare dal letto dell’ospedale: “Non avrei potuto fare altrimenti. Mi godo ogni momento, mentre prima davo tutto per scontato. La malattia mi ha reso un uomo migliore”.
Sinisa Mihajlovic ha vinto la sua personale lotta contro il cancro a modo suo, da combattente: “Ognuno cerca di reagire a suo modo. Quando parlavo di battaglia, mi facevo coraggio. Perché avevo paura, e piangevo, e mi chiedevo perché, e imploravo aiuto a Dio, come tutti. Chi non ce la fa non è certo un perdente. Non è una sconfitta, è una maledetta malattia. Tu puoi sentirti un guerriero, ma senza dottori non vai da nessuna parte”
Nel libro ci sono anche diversi retroscena, come il nome falso datogli dall’ospedale di Sant’Orsola per evitare di attirare curiosi: “Mi avevano dato il nome di Cgikjltfr Drnovsk, un 69enne senza fissa dimora”.
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E dopo la malattia c’è stato il ritorno in panchina, in occasione di Verona-Bologna del 25 agosto 2019: “Peso 75 chili, ho solo 300 globuli bianchi in corpo. Imploro i medici di lasciarmi andare. Quando mi sono rivisto in televisione, non mi sono riconosciuto. Non ci si deve vergognare della malattia. Gli applausi mi hanno aiutato molto, ma non vedo l’ora di tornare uno zingaro di m…”.
Nella lunga intervista al Corriere c’è spazio anche per qualche parola sulle guerre balcaniche: “Nel 1990 un mio compagno del settore giovanile mi disse che pregava che la mia famiglia venisse uccisa. I serbi hanno fatto schifo come i croati, ma i colpevoli siamo solo noi”.