Andrea Pirlo è il nuovo allenatore della Sampdoria. Lo è diventato ora, in questi ultimi mesi. E i risultati dicono che ora ci può guidare in alto…
Amici sportivi e calciofili, lettori di ClubDoria46, eccoci a commentare una vittoria, quella di Reggio Emilia, che sembra confermare una tendenza a questo punto consolidata (sei vittorie nelle ultime otto partite), anche perché corroborata da un atteggiamento pragmatico e persino da qualche concessione all’estetica.
Inizio dalla fine, cioè con Manuel De Luca. Avevo chiesto pazienza, e sono stato ben retribuito. Il goal non è dei più esaltanti sul piano calligrafico, ma – tanto per essere chiari – non è che il tiro da cinquanta metri di Brunori valga più di quello tibiotarsico del nostro centravanti. Soprattutto può dare la stura a soluzioni ancora più funzionali. Che so, l’incornata vincente. Due sole reti di testa, fino ad oggi: un po’ poche.
Vado però oltre e parlo di Andrea Pirlo, così mi brucio già un bel po’ di giochi di parole.
Il cambio di passo della Sampdoria (un vero cambio di passo: qualche cantastorie abituale ci vede altro…) può essere narrato o come la fine di un (lungo) rodaggio di allenatore, squadra, singoli giocatori, o come un cambiamento di rotta, quasi un’ abiura, che ha portato in sostanza l’allenatore bresciano a subentrare a sé stesso.
Ognuno scelga l’interpretazione che preferisce. Io, da buon cerchiobottista, immagino che la risposta esatta sia all’ incrocio tra questi due pensieri.
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Fa parte del gioco che un ambiente depresso da mille vicissitudini stenti a riprendersi da un lungo choc. Lì dentro, e intendo in quel calderone, inserisco una squadra totalmente rinnovata, giocatori che non si sono mai avvicinati gli uni agli altri, ruoli non tutti coperti, inesperienza, gioventù, tanti infortuni, anche poca fortuna.
Quindi un allenatore anche lui nuovo, soprattutto per il palcoscenico, che ha idee precise, ha tutto il diritto di andare in rottura prolungata (e, faccio ammenda, quel diritto inizialmente non glielo volevo riconoscere).
Passano le settimane, i mesi, le partite, e qualcosa di più inizia a chiarirsi. Le abilità dei singoli, lo stato di forma, le attitudini ad un ruolo invece di un altro, la capacità di integrarsi con i compagni e in quali situazioni. Venti metri più avanti, venti più a sinistra.
È l’allenatore a capire se e come modificare la struttura della squadra, soprattutto dalla cintola in su, in funzione della rosa a disposizione e di quella mancante. A insistere, più o meno a ragione, su questo o quel giocatore. Che stringe il campo ma non molla la presa sul dominio territoriale; che rinuncia a qualche eccesso di ripartenza dal basso a pro di una maggiore verticalità, e ne viene ripagato.
Così si arriva all’ oggi: una squadra che ha trovato un suo “ubi consistam” (e mi gioco anche l’amato latinorum), che sa stare in campo, e se toppa – Bolzano e Brescia – lo fa in modo episodico. E succederà ancora, stiamone certi. Saremo preparati e non ci spaventeremo più.
Recuperati alla causa ragazzi che sembravano persi (Vieira, De Luca), ne manca ancora uno, pur in ripresa: Valerio Verre. Poi l’opera del nuovo allenatore (Pirlo, subentrato a Pirlo) potrà dirsi compiuta.