La crisi della Sampdoria non deve spaventare, Marco Giampaolo riuscirà a salvarci. E sbagli chi lo considera un talebano…
“Verità verità”, diceva lo zio Vujadin quando doveva esprimere una sua opinione, specie su argomenti o episodi spinosi e interpretabili.
Uso anche io questo incipit, perché se c’è un argomento che ha fatto discutere tutti i tifosi della Sampdoria dal 2016 in poi, questo è Marco Giampaolo: il suo prima, il suo durante, il suo “dopo”.
Verità verità, non posso ascrivermi tra coloro che festeggiarono il suo arrivo. Quel poco che sapevo non mi entusiasmava, e parlo sia del lato tecnico, sia di quello – diciamo così – motivazionale. Ma dato che non mi sono mai fatto suggestionare dalle prime impressioni, e avendo per mia natura sempre esercitato il diritto al dubbio, ho osservato. E ho cambiato posizione.
Conosco i pro e i contro, e so perfettamente quali sono gli argomenti dei sostenitori e dei detrattori. Non credo ci sia né ragione né motivo di tornarci sopra, per due motivi: il primo è che basta dare un’occhiata a quanto scrive il nostro direttore, e al vivace dibattito che ne è seguito, per capire come si tratti di due opzioni sostanzialmente inconciliabili; il secondo è che, a mio vedere, entrambi i fronti hanno in definitiva ragione. Sono del tutto fondate le critiche e altrettanto ortodosse le mozioni a favore.
È o no un talebano? Vuole o no la costruzione dal basso anche con difensori con i piedi quadrati? Ama o no la punta centrale di peso? Potremmo andare avanti per giorni.
Le sue squadre – soprattutto le sue Samp, sicuramente il momento più algido della carriera del tecnico abruzzese – hanno sempre sofferto di schizofrenia. Sempre.
Sampdoria, Giampaolo non è un talebano
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Nel suo primo anno vinse due volte a San Siro e, nello stesso girone di ritorno, fu sconfitto a domicilio dal Crotone in rimonta.
L’anno successivo aprí come una noce di cocco la Juve vincitutto di Higuain, Dybala e Pianic e prese cinque pappine dall’Inter.
L’ultima stagione si aprì con il tacco di Quagliarella al Napoli e si chiuse perdendo in casa con Frosinone ed Empoli.
Se qualcuno vuol essere malizioso e sostenere che ad un certo punto della stagione non si volesse fare meglio, avanti: faccia pure. Il discorso non mi prende e non mi entusiasma.
Dico però che oggi – oggi – ho visto due squadre: quella delle prime partite, che mi è piaciuta anche quando non ha fatto bene, e quella delle ultime due, che invece mi ha terrorizzato.
Poi ho ascoltato le parole del tecnico e la preoccupazione è, se possibile, aumentata.
Quando un atleta salta in alto, poniamo, 2.30, è difficile che sia un caso. Quella misura è nel suo repertorio, ci può arrivare. Farà forse anche meglio, e spesso invece non sarà in grado, ma perché non sarà al suo massimo. Quella misura, lo ha dimostrato, è alla sua portata.
Quando un calciatore fa certi numeri, e non una volta sola, vuol dire che può. Poi invecchia, non gli riescono più con continuità, forse non sta bene e gioca lo stesso. Ma può.
Ascoltiamo con attenzione, leggiamo tra le righe le dichiarazioni del mister e dei giocatori.
Sicuramente sarà una questione di modulo, ma più che mai volere è potere.