Ucronia. È una parola difficile. Una parola che si può abbinare alla Sampdoria: una storia del come sarebbe dovuta andare…
Quanti di noi/voi mi seguono conoscono già alcuni miei chiodi fissi, non necessariamente calcistici. Qualche settimana fa, ad esempio, prendemmo di mira la cosiddetta “disintermediazione”, un fenomeno amplificato dalla civiltà dei social network in base al quale tutti possono dire tutto su qualsiasi argomento, vanificando – questo è il meno – la professionalità e il professionismo, ma soprattutto ponendo le opinioni al di sopra e al di fuori del fatti, rendendo concrete certe assurde utopie sessantottine.
Ma poiché non voglio farvi due palle, visto che siamo – spero – tra Sampdoriani e qui parliamo di Sampdoria, metto il pallone al posto delle palle e vi parlo però di un altro fenomeno che va tanto di moda: la cosiddetta “Ucronia”.
U-cronia, ossia – in parole povere, e torno alle due palle – “Non-tempo”, o – se preferite – “tempo-diverso-da-come-è-andata-veramente”. Un po’ come l’u-topia, che ho citato sopra sempre dal greco antico, è il “non-luogo”, un’ipotesi anche bella ma non vera e non concreta e presumibilmente non realizzabile.
In questo particolare contesto l’ucronia è “come sarebbero andate (o, ancora di più, dovute andare le cose), se…”. C’è una corrente di pensiero, una fazione, un ambiente calcistico, che sull’ucronia ha costruito le proprie leggendarie imprese. Non faccio nomi.
Ucronia Sampdoria e quella usanza che non ci piace
Sampdoria e la storia del come sarebbe dovuta andare…
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Fin da bambino ho seguito e praticato la pallacanestro, e non ho mai nascosto il mio fervore per le Scarpette Rosse dell’Olimpia Milano, mio secondo affetto sportivo, che ho seguito anche professionalmente in anni ormai lontani, tornate a buon diritto al titolo italiano pochi giorni fa. Il loro allenatore Ettore Messina – un guru della panchina, più trofei che capelli in testa, esperienze in NBA – ha detto a fine serie una sacrosanta verità: chi vince festeggia, chi perde spiega. Che poi è un modo raffinato per ribadire il concetto simil-boskoviano (spurio): “Lingua parla quando culo brucia”.
Ora, che sederi in fiamme ce ne siano in giro, è verificabile su base quotidiana. Che però autorevoli esponenti del mondo dell’informazione continuino a creare situazioni ucroniche in cui la tal cosa non era regolare e quindi la tal altra andrebbe rifatta, lo trovo patetico e poco dignitoso.
La storia va esattamente dove vuole andare. Ma, se proprio volessimo sottilizzare, io andrei a rivedere al VAR il fallo di Invernizzi. La punizione di Koeman non c’era…