L’avventura di Andrea Pirlo alla Sampdoria è finita. Una scossa per tutto l’ambiente è necessaria e a pagare è lui…
Amici di Club Doria 46, tifosi blucerchiati, non so più come girarla: credo che la sconfitta dell’Arechi abbia raccontato talmente tante storie in una sola serata che ci sarebbe da scrivere un libro, non solo un pezzo di commento.
Se volessimo sintetizzare faremmo presto: purtroppo per lui, e per tutti noi, Andrea Pirlo è arrivato a fondo corsa. Il problema è che, al momento e salvo sorprese, almeno fino alla pausa sarà lui a sedere sulla panchina doriana, perché – giustamente – la dirigenza vorrà fare valutazioni ponderate sotto tutti i punti di vista: tecnico, economico, ambientale, motivazionale.
La cosa certa, a mio vedere, è che il pur ottimo (umanamente) tecnico bresciano, già grande campione con la palla tra i piedi, non sembra più in grado di riafferrare le redini del cavallo che gli è stato affidato per questa stagione, come proprio la gara di Salerno ha dimostrato.
Ricapitolando: come ho avuto modo di scrivere in sede di commento della gara, la superiorità tecnica della Sampdoria nei confronti della squadra campana non è mai apparsa in discussione, come del resto a Frosinone (già meno con la Reggiana). In altre parole, contro due delle squadre retrocesse, quindi automaticamente ascrivibili al club delle favorite, il livello degli avversari è apparso inferiore, soprattutto in determinati momenti della partita. E tuttavia alla fine il risultato è andato di traverso ai ragazzi del presidente Manfredi. Se fossimo in Formula Uno, la macchina fosse superiore alle avversarie e non si vincesse mai per uscite di strada e tamponamenti, c’è da pensare che il pilota verrebbe subito messo in croce, no?
Sampdoria, Pirlo ha commesso troppi errori
Sampdoria, Andrea Pirlo a fine corsa, una scossa è necessaria
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Perché poi il passaggio successivo è dubitare dell’effettiva qualità dell’organico, che invece a parer mio è costruito adeguatamente. Usare moduli inadatti ai giocatori, forzarne l’impiego in zolle di terreno non congeniali e – soprattutto – non sfruttare la notevole profondità della propria panchina diventa un errore esiziale. Avere tante frecce al proprio arco, una diversa dall’altra, e fare i cambi sempre ruolo per ruolo, partendo dal presupposto che uno vale uno, è vanificare la ricchezza del proprio armamentario. E’ socialismo reale applicato al calcio, che invece è sport anarchico nell’esercizio del talento.
Bisognerebbe avere la capacità di comprendere come le figuracce individuali (tre reti tre regalate ad una Salernitana apparsa decisamente modesta, per non parlare dello sciagurato passaggio di Vieira contro la Reggiana) siano figlie del cattivo posizionamento in campo, dell’incapacità di giostrare al meglio secondo quegli schemi, o di uno stato di forma perfettibile. Sembra invece che il ragionamento di Pirlo suoni più o meno: lo schema è corretto, le idee sono giuste, gli errori sono di chi deve interpretarli. Che è parente del famigerato slogan sessantottino: se i fatti contraddicono le idee, tanto peggio per i fatti.
Peccato che, insegnava il professore con il quale anni fa mi laureai, non siano mai le regole a cambiare i fatti: saranno sempre i fatti a cambiare le regole. Per questo, oggi, invoco un cambio di timoniere. E non è detto che funzioni.