Calciomercato Sampdoria: un estratto della tesi di laurea di Francesco Farioli che rivela molto della sua filosofia calcistica e del suo modo di fare calcio
Oggi è il giorno decisivo, quello in cui si svelerà chi sarà il prossimo allenatore della Sampdoria tra Fabio Grosso e Francesco Farioli. Mentre del primo, l’eroe di Berlino, si sa molto, del secondo si sa ancora troppo poco a parte alcune informazioni sul suo operato in Turchia. Descritto come un visionario ed un innovatore, per saperne davvero qualcosa in più sulla poliedrica personalità del tecnico è necessario capirne quantomeno la filosofia di vita. Parte di questa si riflette nella tesi scritta ai tempi dell’Università degli Studi di Firenze.
Nella tesi intitolata Filosofia del Gioco. L’estetica del calcio e il ruolo del Portiere si legge:
Il filosofo francese Jean Paul Sartre sosteneva che “il calcio è una metafora della vita”. Una frase suggestiva che non ha lasciato indifferente il Prof. Sergio Givone, il quale ha metabolizzato, rielaborato e, per certi versi stravolto, la frase originale, affermando che “la vita è una metafora del calcio”. Un ribaltamento di prospettiva che, da una parte, si confà al pensiero di Huizinga sul- la serietà del gioco e, dall’altra, trova negli accadimenti quotidiani eventi che ci lasciano riflettere sul valore effimero che viene dato alla vita. Giochiamo come viviamo o viviamo come giochiamo? Uno è sempre conseguenza dell’altro?
Calciomercato Sampdoria: la tesi estetica di Farioli
Calciomercato Sampdoria, ecco cosa dice Farioli nella sua tesi di laurea. Il documento esclusivo
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Nel passaggio Farioli cercava risposte e soluzioni attingendo dal campo dell’estetica, per capire quale fosse il ruolo del Gioco nel divenire e vivere giornaliero. Prima di chiedersi che cos’è il gioco. La sua dottrina:
[…] Data la vastità dei mondi che la parola gioco racchiude, per trovare riscontro empirico alla mia tesi, mi sono addentrato nel mondo del calcio, quello che meglio conosco. Considerando che la vita è rappresentazione, e anche il gioco lo è, il palcoscenico entro cui si svolge il teatro della vita è lo stadio. Come nel teatro shakespeariano dell’600, lo stadio oggi altro non è che un luogo entro cui attori e spettatori sono parte integrante di quello stesso spettacolo che, a sua volta, è una partita nella partita. In quel teatro coesistono la bellezza hegeliana e la bellezza kantiana: la prima idealizzata dal campo da gioco, che diventa bello in quanto praticabile e la seconda sublimata dalla bellezza dei gesti che sfidano le leggi della natura. Nel teatro dello stadio il bello ideale e il sublime trovano la loro armonia e il loro equilibrio. In quei gesti, che hanno la loro ragion d’essere nell’esattezza del tempo, si alimenta lo stupore che pervade gli occhi di chi guarda e, contemporanea- mente, mantengono il mistero del gioco. Quindi la sua essenza più pura.
Una parata di Buffon e un gol di Messi diventano uno strumento di rappresentazione finale di un processo ben più lungo e articolato. […] Una parata, un dribbling, un passaggio illuminante o più semplicemente un goal. Il Prof. Givone, a tal riguardo, sosteneva che “Il calcio cessa di essere un gioco nel momento in cui dietro le quinte qualcuno se ne serve, lo usa per altri fini, lo controlla, lo manipola, lo trucca. È chiaro che un gioco truccato non è più un gioco”. […] Ecco perché negli scandali del calcio siamo tutti coinvolti e rischiamo di essere tutti perduti come persone: la posta in gioco non è infatti solo calcistica, ma riguarda anche il nostro modo d’essere e di vivere. La sopravvivenza morale e l’etica civile sono qui in questione. In queste vicende ne va non solo del gioco del calcio, ma bensì dell’intera esistenza e della convivenza civile.
Le sue conclusioni meriterebbero di essere riportato quasi interamente perché è lì dove Farioli si chiede se la bellezza del gioco può salvare il mondo, con lui stesso che la definisce “una sfida grande, per certi versi utopica, vuota di materia, ma ricca di contenuti”. Perché nel Farioli pensiero “per dominare il caos, risulta evidente la necessità di ricreare un senso estetico nell’umanità”. E ancora che “il campo da gioco diventa così una delle migliori palestre entro cui esercitarsi alla contemplazione e alla pratica della bellezza, attraverso la bellezza del gioco”.
Solo la logica aiuta e guida (almeno inizialmente) le nostre conclusioni, articolate su una bozza di sillogismo che spazia da Kant a Socrate.
Kant diceva che “il bello è simbolo del bene morale”. Socrate sosteneva che “chi conosce il bene non può fare il male”. Pertanto, per dominare il caos, risulta evidente la necessità di ricreare un senso estetico nell’umanità, che permetta un’apertura e un confronto iniziale su un pia- no logico e, nella sua forma più alta, estetico, nel quale l’azione dell’individuo e la bellezza che ne consegue, diventino un momento di ispirazione, di condivisione estetica, e infine di salvezza, con lo scopo principale di concepire e riconoscere il bello per fare il bene.
Il campo da gioco diventa così una delle migliori palestre entro cui attuare, da un lato, l’accettazione delle regole e delle responsabilità e, dall’altro, esercitarsi alla contemplazione e alla pratica della bellezza, attraverso la bellezza del gioco.
L’educazione alla scelta e l’esercizio, questa attitudine ci portano là fuori, nella vita, a saper riconoscere ciò che è bello e giusto, da ciò che – invece – rappresenta il male, e, ancor più colpevolmente, la sua banalizzazione.