La vita del calciatore può cambiare in un attimo, e quella di Mauro Bertarelli è cambiata radicalmente nel settembre del 1994. Forse per uno scherzo del destino, l’attaccante stava riuscendo a dimostrare tutto il suo talento in maglia blucerchiata, dopo le prime due stagioni all’ombra della Lanterna. Ma dall’infortunio subito quel giorno, nel ritorno del primo turno di Coppa delle Coppe, non si è mai ripreso veramente come ha raccontato al Secolo XIX.
Il giorno è il 29 settembre 1994, lo stadio è il Luigi Ferraris di Genova, la Sampdoria affronta la gara di ritorno contro gli sconosciuti norvegesi del Blodo Glimt. Una partita da vincere dopo il 3-2 dell’andata. Una partita vinta per 2-0 ma non senza un dolore. Quello grande di Mauro Bertarelli. Un’uscita scomposta del portiere Rhonny Westad sancisce lo scontro inevitabile con l’ attaccante lanciato a rete. Il portiere aggancia il ginocchio di Bertarelli, provocandogli la lussazione della rotula.
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“Me lo ricordo bene quell’ infortunio. Come dimenticarlo. Mi ero avventato sul pallone lanciato da Ferri, ed il portiere avversario era uscito fin quasi fuori dall’area. Non ho mai sentito così tanto dolore, ero addirittura convinto di essermi rotto del tutto la gamba. Non riuscivo a smettere di pensare che non avrei dovuto giocarla quella partita: già nel riscaldamento avevo avuto qualche problema muscolare. Quel giorno nessuno tra quei giocatori norvegesi mi chiese come stavo, nemmeno il portiere…”.
“Da quel momento la mia carriera gira – continua Bertarelli – Sono stato fermo per due anni, con ben due operazioni. Il ginocchio sinistro lo sentivo ancora troppo debole. Per riprendermi dopo una partita impiegavo dei giorni. Non ero più io. Se non altro avevo molto coraggio, quello non mi è mai mancato. I tifosi doriani me lo hanno sempre riconosciuto, e questo mi fa piacere”.
Non possono però mancare le note positive del quadriennio blucerchiato : “Il mio primo pensiero positivo non può che andare a Paolo Mantovani, persona unica. Sicuramente ricordo con piacere il rapporto con i tifosi ed il contatto stretto con quei campioni. Sono ricordi che porterò in eterno. Mancini, Vierchwood, Lombardo, Platt, Gullit. Erano dei veri e propri miti viventi per me”.