L’Arabia Saudita sta comprando a peso d’oro molti esponenti del mondo del calcio attratti dagli zeri sugli assegni, ma è proprio così…
Questa estate di calciomercato è stata contraddistinta da un’inedita sorpresa, l’ascesa economica della Saudi League. Campionato di bassissimo livello tecnico che a suon di milioni di euro sta portando in patria tanti calciatori e tecnici per provare a diventare una superpotenza calcistica a livello mondiale. Il caso principale è quello di CR7, 1 miliardo di euro tra campo e ruolo di ambasciatore per la candidatura del Mondiale del 2030 in Arabia Saudita, Egitto e Grecia. Oppure i 30 milioni a stagione per 4 anni a Roberto Mancini come ct dell’Arabia Saudita.
Altro discorso non di poco conto quello relativo alle tasse. Pari a zero per tutti quelli che in un anno risiedono almeno 6 mesi in un anno in Arabia Saudita (in caso contrario la metà dell’assegno dovrà finire nelle casse dell’Erario). I bonifici saranno erogati dal Public Investment Fund del regno e comprenderanno tutti i benefit del caso (alloggio gratis, piscina, palestra, campi da tennis a disposizione, assistenza medica garantita da contratto nelle cliniche saudite). Trattamento che la monarchia assoluta di Riyad riserva anche a medici, infermieri, architetti, cuochi, professori. Ecco cosa emerge dal settimanale GENTE però sulle condizioni di vita delle persone “comuni”.
Un Paese pieno di contraddizioni
INCHIESTA – Arabia Saudita, la bella vita del mondo del calcio. Ma è tutto oro quel che luccica?
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L’Arabia Saudita però è un Paese come era già successo per il Sudafrica in occasione die Mondiale del 2010 con molte contraddizioni. In Africa 13 anni fa c’era una parte del Paese in assoluta ricchezza e poco fuori le grandi città persone accampate in abitazioni improvvisate. In Arabia Saudita l’apparenza è tutto, grattacieli, stadi, teatri, locali alla moda. Ma è solo questo quello che serve a uno Stato? Da 5 anni le donne “possono” guidare. E sì avete letto bene, nel giugno del 2018 finalmente hanno “concesso” anche alle donne di poter prendere la patente. Cosa che dovrebbe essere la normalità ma in Arabia Saudita evidentemente il progresso per le infrastrutture è arrivato prima di quello dei diritti dell’individuo.
C’è ancora l’obbligo di indossare l’abaya (indumento femminile che ha funzione di hijab, o velo). Il corpo femminile deve essere coperto e le forme nascoste. Dal 2019 le donne possono prenotare da sole in un albergo con la loro carta d’identità e condividere la stanza con un fidanzato o un familiare (avete letto bene).
L’alcol resta un tabù, si bevono birra e vini analcolici. Così come rimane proibita la carne di maiale per questioni religiose. Il maiale è descritto dal Corano come impuro, immondo e inadatto al consumo. Solo in casi come il rischio di morte o grave malattia è concesso consumare carni suine.
Nel 2022 le condanne a morte sono state 148, la democrazia è molto lontana. Gli oppositori politici rischiano la vita solo per il fatto di avere opinioni contrarie (caso Kashoggi, ucciso, secondo gli inquirenti turchi, nella sede diplomatica saudita di Istanbul nel 2018). Mentre i lavoratori dalle mansioni più umili, in arrivo dalle Filippine, dal Pakistan o dall’Etiopia, non godono affatto delle condizioni lavorative ideali riservate invece al mondo del calcio (e non solo). Sono considerati “sacrificabili” a partire dagli scarsi o addirittura inesistenti diritti sindacali.
La discriminazione di genere è ancora lontana da essere risolta, l’Islam permette la poligamia. E fin qui nulla di male, a patto che sia consenziente da entrambe le parti. Ma agli uomini è consentito avere fino a 4 mogli, mentre le donne possono avere solo 1 marito. Quindi sarebbe giusto dire che esiste la “poligamia maschile”, mentre le donne sonno obbligate ad osservare la monogamia. Giusto per sottolineare che l’uomo può fare quello che vuole e ha più diritti (secondo loro) delle donne, mentre il genere femminile deve sottostare senza ribellarsi al “padrone”.
Ad ogni modo ogni Paese segue le proprie regole, e non spetta a nessuno giudicare o altro. Anche perché se un Saudita guardasse l’Italia, potrebbe trovare magari mille cose che secondo la sua cultura, il suo credo religioso/politico non condivide del nostro modo di vivere. Ma vedere tutti questi calciatori che pubblicizzano l’Arabia Saudita facendo vedere solo la parte della medaglia che gli piace (o meglio che li paga profumatamente) è onestamente criticabile. Il calcio saudita è una cosa, ma vivere in Arabia Saudita è un’altra. Soprattutto se non siete calciatori/allenatori multimilionari pagati per dire: “Che bella l’Arabia Saudita, qui si sta benissimo”.